La resilienza nell’agricoltura urbana: si può sintetizzare così il progetto dell’orto biologico sulla terrazza della sede della FAO di Roma. Un modello di agricoltura che si delinea come una risposta sostenibile e creativa alla crisi globale ambientale di risorse e cibo che riguarda tutti noi. Una vera e propria oasi, che ospita antiche varietà biologiche, tra cui – per la stagione invernale – il peperoncino Papecchia, il cavolfiore violetto catanese, la cicoria catalogna di Brindisi, il sedano nostrale di Francavilla Fontana, il peperone Sweet Julie, solo per citarne alcune.
Il 17 novembre, al taglio del nastro di questo orto “del futuro” hanno partecipato tra gli altri il direttore generale FAO Qu Dongyu, il vicedirettore Maurizio Martina, con i partner della Mountain Partnership, l’amministratore delegato di Naturasì Fausto Jori e Slow Food.
Primo nel suo genere su un edificio delle Nazioni Unite, si tratta di un orto biologico modulare all’avanguardia, realizzato da NaturaSì con l’Università La Sapienza - Orto botanico di Roma, la startup Ecobubble e Slow Food in qualità di membri della Mountain Partnership, alleanza delle Nazioni Unite che conserva e valorizza l’agricoltura di alta quota.
Le specie di piante selezionate per la coltivazione provengono dalla Fondazione Seminare il Futuro, di cui NaturaSì è partner. Da anni impegnata in ricerca e selezione di varietà specifiche per l’agricoltura biologica, la Fondazione ha tra i suoi principali obiettivi quello di rispondere all’impoverimento della biodiversità agricola, soprattutto in relazione alla necessità di coltivare varietà resistenti alla crisi climatica.
Negli ultimi 100 anni, ricorda la FAO, è scomparso il 75% delle specie vegetali impiegate in agricoltura. “Tra le principali cause della perdita della biodiversità troviamo l’uso di un numero sempre più ridotto di varietà vegetali coltivate in porzioni di territorio sempre più estese”, commenta Fausto Jori, Amministratore Delegato di NaturaSì. “Ecco perché è necessario investire per promuovere la ricerca, la selezione e la riproduzione di semi di varietà capaci di adattarsi alla crisi climatica per tutelare, da un lato, la biodiversità e, dall’altro, assicurare libertà agli agricoltori che sarebbero così in grado di riprodurre da soli le sementi di cui hanno bisogno”, conclude.
L’obiettivo di questo progetto sperimentale è trovare soluzioni per ovviare alla carenza di cibo in aree in cui le risorse scarseggiano; ambienti impervi come le montagne, ma anche nelle zone urbane, magari densamente popolate, dove questo nuovo tipo di agricoltura può ridurre la pressione sull’ambiente e portare ulteriori benefici alla società. “Abbiamo unito la volontà, la determinazione e la competenza di soggetti che da anni si adoperano per garantire il diritto di tutte le popolazioni di vivere in un ambiente sano, grazie anche a sistemi agroalimentari più efficienti, inclusivi, resilienti e sostenibili”, continua Jori. “Il Bio-Orto vuole essere un esempio, un’esperienza replicabile in altre realtà per promuovere un’agricoltura capace di dare ossigeno e cibo sano anche in contesti urbani dove il suolo è scarso”, conclude.