Per conservare la biodiversità serve ripristinare una rete di aree naturali sia all’interno delle città che nei campi coltivati. Non a caso la Strategia europea Farm To Fork indica che entro il 2030 il 10% dei campi coltivati deve essere dedicato a zone di conservazione della biodiversità: boschi, aree umide, siepi alberate. Un traguardo che NaturaSì, nell'ambito della sua realtà, ha già raggiunto, anzi quasi doppiato. Sui circa 32.000 ettari delle 300 aziende agricole fornitrici di NaturaSì – la maggiore realtà del biologico in Italia – le aree di natura coprono il 19% della superficie. Mettendo assieme tutte le siepi che traversano e delimitano i campi, si coprirebbe esattamente la stessa distanza che c’è tra Roma e Trieste: 670 chilometri.
“Un piccolo patrimonio di biodiversità che dà rifugio a impollinatori e insetti i quali contrastano i parassiti delle piante alimentari, come la crisopa, che mangia gli afidi e vive nelle siepi“, commenta Fausto Jori, amministratore delegato di NaturaSì. “Un mosaico naturale composto da boschi, stagni, alberi in cui in molti casi sono riapparsi piante come la felce Marsilea e animali in forte declino, tanto da essere classificati di ‘interesse comunitario’. Solo per citarne alcuni: il Falco di palude, la Testuggine palustre europea, l’Airone rosso, il Barbagianni, alcune specie di pipistrelli, specie individuate, ad esempio, in un recente bioblitz scientifico organizzato nell’azienda Agricola San Michele di Cortellazzo (Ve) in collaborazione con l'Associazione successione ecologica”.
Un’esperienza, quella di NaturaSì, che dimostra come sia possibile trasformare l’agricoltura da causa di perdita di biodiversità a vero e proprio scrigno di conservazione ma anche asset di produzione. A guadagnarne, infatti, non è esclusivamente l’equilibrio ambientale e naturale: se guardiamo all’economia globale nel suo insieme, scopriamo che circa il 40% del suo valore è legato a doppio filo alle risorse della natura.
“La nostra è una risposta concreta allo slogan della Giornata Mondiale della Biodiversità che si celebra domani 22 maggio, ‘Siamo parte della soluzione’ e possiamo dire di aver ampiamente superato l'obiettivo contenuto nella Strategia Farm to Fork dell'Unione Europea”, aggiunge Jori. Da un censimento appena ultimato su un campione delle 300 aziende dell’ecosistema NaturaSì emerge, infatti, che il 50% dedica uno spazio specificamente alle aree umide e il 29% ha al suo interno o ai suoi confini un’area protetta. Inoltre, il 26% ospita specie rare o in declino (animali e vegetali) e l’83% garantisce la presenza di diversi habitat.
Numeri particolarmente importanti se si pensa che, se da un lato le Nazioni Unite ci chiedono di essere parte della soluzione, dall’altro dimostrano come sono proprio le nostre azioni a creare la perdita della biodiversità con un effetto boomerang sulla nostra salute. Tra le cause maggiormente impattanti sugli habitat ci sono, infatti, l’agricoltura e l’allevamento industriali. A livello globale, dal 1970 a oggi, il volume della produzione agricola è aumentato di circa il 300%, ma questo risultato è stato raggiunto senza preoccuparsi del suolo, dell’ambiente e dell’inquinamento. E oggi (sempre secondo i dati Onu) paghiamo il conto anche a livello economico: il degrado del suolo ha ridotto del 23% la produttività della superficie terrestre globale e fino a 577 miliardi di dollari in colture globali annuali sono a rischio per la scomparsa degli impollinatori.
L’espansione dell’agricoltura industriale, insieme all’allevamento intensivo, è tra i principali motori della distruzione globale delle foreste per liberare suoli da destinare a colture e pascoli. Questa alterazione del naturale equilibrio degli ecosistemi, secondo molti ricercatori, apre la strada al processo chiamato “zoonosi” che permette ai virus, come il Coronavirus, di fare un “salto di specie”, passando dagli animali all’uomo.
“Se la biodiversità sta bene, l’uomo sta bene. C’è un’agricoltura che può contribuire attivamente alla conservazione delle specie e degli habitat: un’agricoltura che non usa pesticidi e fertilizzanti chimici di sintesi, che garantisce la rotazione delle colture con una grande varietà di specie coltivate. E a guadagnarci siamo tutti: agricoltori e consumatori. Ci siamo appropriati di uno spazio che non era il nostro e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. È ora di ristabilire il naturale equilibrio della natura. Le Nazioni unite ci chiedono di essere parte della soluzione, la Terra ce lo chiede. NaturaSì lo fa da 35 anni, è la sua mission. Ma può essere un esempio da allargare agli altri protagonisti del mondo agricolo per arrivare insieme agli obiettivi che la Strategia europea ci indica”, conclude l’ad di NaturaSì.